Chirurgo estetico e responsabilità penale

CHIRURGO ESTETICO E RESPONSABILITA’ PENALE

Viviamo in una società sempre più attenta all’ immagine, protesa verso il sogno, probabilmente irraggiungibile, di una perfezione estetica secondo canoni predeterminati. La prima conseguenza tangibile di questa tendenza è il ricorso, sempre più frequente, al chirurgo estetico con tutte le conseguenze giudiziarie che spesso ne derivano.

Non di rado accade, infatti, che i risultati dell’intervento chirurgico disattendano le aspettative di chi aveva riposto in esso la speranza di un naso perfetto, di un seno procace o di un viso ringiovanito di molti anni.

Prima di tracciare il perimetro entro il quale possa configurarsi la responsabilità penale del chirurgo estetico, occorre tuttavia delinearne una nozione e individuarne le differenze e le peculiarità rispetto alla chirurgia generale e alla chirurgia plastica.

La chirurgia estetica può essere sinteticamente definita come un settore della chirurgia, in particolare della chirurgia plastica, strumentale alla correzione di inestetismi o imperfezioni fisiche che, tuttavia, non hanno natura patologica né determinano disfunzioni, menomazioni o problematiche oggettive nel soggetto interessato.

Possiamo affermare dunque, in linea di massima, che essa interviene per migliorare o modificare caratteristiche somatiche, sotto il profilo meramente estetico, in quanto avvertite con disagio dalla persona che vi si sottopone; ciò sebbene alcune volte accada che convergano le duplici esigenze, estetica e funzionale, di ricorrere al bisturi.

Orbene, quando un chirurgo estetico può incorrere nella responsabilità penale per la cattiva riuscita, vera o presunta, di un intervento?

Nel rispondere al quesito è necessario premettere che, pur con le sue specificità, oggetto della presente, sintetica disamina, la responsabilità penale del chirurgo estetico deve individuarsi in ogni caso entro il perimetro della più generale disciplina prevista dall’ art. 590 sexies c.p., introdotto dalla Legge n. 24 dell’ 8 marzo 2017, più diffusamente conosciuta come legge “Gelli – Bianco”, e sulla scorta, altresì, dell’approdo ermeneutico della Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, con la sentenza n. 8770/2017.

Tralasciando per il resto, almeno in questa breve trattazione, gli aspetti di natura più strettamente tecnica e i relativi postulati interpretativi dei Giudici di legittimità in relazione alla Gelli-Bianco, è utile invece soffermarsi sui limiti peculiari relativi alla responsabilità del chirurgo estetico, non senza avere doverosamente precisato che la condotta colposa dell’operatore sanitario è penalmente rilevante, ai sensi dell’ art. 590 sexies c.p., soltanto quando determina una malattia.

In proposito è interessante porre l’attenzione su una pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 47265/2012, relativa al caso di una donna, sottopostasi a intervento chirurgico per eliminare talune imperfezioni dell’addome, del dorso, delle ginocchia e per aumentare il volume del seno.

L’intervento, purtroppo, al netto peraltro di altre vicissitudini occorse durante l’operazione e delle relative conseguenze, non soltanto non dava l’esito sperato ma addirittura determinava degli ulteriori, gravi inestetismi consistenti nel disallineamento dei due seni e in uno sgradevole eccesso di tessuti nella parte superiore dell’addome.

Tali evidenze, a parere della denunciante, derivavano dall’imperizia del sanitario e, proprio su questo ultimo aspetto, quello dei contestati danni estetici, si ritiene di soffermarsi nella presente disamina.

Ripercorrendo in estrema sintesi l’iter processuale della vicenda, limitatamente alla contestazione per responsabilità professionale del medico in relazione alle brutture estetiche derivate dall’ intervento, aspetto, quest’ultimo, che specificamente ci interessa in questa sede, il Tribunale di prime cure, assolveva il sanitario che aveva effettuato l’intervento.

La persona offesa, costituita parte civile, impugnava, agli effetti civili, la sentenza.

La Corte di Appello, tuttavia, si determinava per la conferma, sul punto, della sentenza di primo grado in quanto riteneva, concordemente con il Tribunale, che i lamentati e comprovati inestetismi, derivanti da errori esecutivi del sanitario, non potessero assurgere al rango di malattia, penalmente rilavante ai sensi dell’ art. 590 sexies c.p., in quanto non avrebbero determinato, sulla scorta delle consulenze tecniche acquisite, “una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o una compromissione, anche non definitiva ma significativa, di funzioni dell’organismo”.

La persona offesa, dunque, ricorreva in Cassazione, dolendosi, tra gli altri motivi di ricorso, per violazione della legge penale e per vizio di motivazione, proprio del fatto che, invece, il pessimo risultato ottenuto sotto il profilo estetico andava considerato alla stessa stregua di una malattia, integrando il concetto di lesione penalmente sanzionabile.

I Giudici di legittimità, che pure accoglievano alcuni motivi di gravame, rigettavano invece questa specifica censura, condividendo l’assunto della Corte territoriale secondo cui la disarmonia estetica, non avendo compromesso alcuna funzionalità e non avendo innescato alcun “processo morboso evolutivo”, non poteva integrare il concetto di lesione, così come giuridicamente inteso.

Tuttavia, si ritiene assolutamente utile evidenziare un passaggio della sentenza con cui la Cassazione riconosce che, in astratto, la cattiva riuscita di un intervento e le conseguenti brutture estetiche che ne derivino, possano ingenerare disturbi psichici, ad esempio di natura depressiva, costituenti a tutti gli effetti malattia e dunque idonei a determinare la responsabilità professionale del sanitario: “Ovviamente ciò non esclude in astratto che in casi di tal fatta possa ingenerarsi, a causa della grave frustrazione da delusione, a fronte dell’assai gravosa contropartita (costituita in primo luogo dalle sofferenze psico-fisiche dipendenti dal trattamento chirurgico ampiamente invasivo e, in secondo luogo, dal corrispettivo versato) e, soprattutto, del peggioramento estetico, oramai assai difficilmente rimediabile (se non in parte e sopportando ancora maggiori sacrifici), un meccanismo reattivo dell’organismo, capace di indurre l’attecchimento di un disturbo psichico di tipo ansioso-depressivo, che costituisce vero e proprio stato morboso di malattia…”.

In estrema sintesi, mentre i meri inestetismi estetici, che non comportino degenerazioni morbose o danni di tipo funzionale, non sono, in sé, penalmente rilevanti, possono invece diventarlo, integrando l’art. 590 sexies c.p., allorquando determinino quantomeno documentati danni di natura psichica, generando ad esempio disturbi ansioso-depressivi derivanti dalla grave delusione e dal disagio che la persona offesa avverta per il peggioramento estetico. Ovviamente, si precisa che il presente, brevissimo compendio non esaurisce le molteplici problematiche connesse alla responsabilità professionale del chirurgo estetico, in cui si inseriscechirurgo estetico, tra le altre, anche la questione attinente ad esempio al consenso informato