SEXTING: ESTORSIONI A LUCI ROSSE SUL WEB
Sexting: estorsioni a luci rosse sul web
Innanzitutto, cosa si intende per sexting?
Il sexting consiste nello scambio, nella diffusione o nella condivisione, attraverso internet, di testi e, soprattutto, di immagini e video dal contenuto esplicitamente erotico.
Giova premettere che lo scambio volontario di contenuti erotici tra adulti consenzienti non viola le leggi italiane, purché ovviamente le immagini rientrino nella sfera di disponibilità giuridica di chi le invia e non riguardino terzi, non consenzienti alla loro diffusione, o minori.
L’avvento dello strumento telematico ha, d’ altronde, esteso la gamma e i modi di soddisfacimento delle fantasie erotiche delle persone, un tempo confinate soltanto entro i più concreti perimetri della camera da letto o, al limite, nei nastri di una videocassetta o nelle pagine di un giornaletto porno.
La possibilità di approcci diretti, non impegnativi e di agevole realizzazione, resi possibili dalle nuove tecnologie, internet in primis, a dal proliferare di chat e dei social network ha dunque favorito la nascita e la diffusione del sesso virtuale, ovvero dello scambio di video e di fotografie dal contenuto esplicitamente sessuale o, addirittura, di vere e proprie esibizioni sessuali in diretta, mediante l’uso delle webcam.
Tali pratiche sono molto più diffuse di quanto si pensi e non sono connesse a particolari condizioni soggettive di chi le pone in essere; la loro frequenza prescinde dall’età, dal genere, dagli orientamenti sessuali, dal grado di istruzione o dalla professione esercitata, avendo un’incidenza assolutamente trasversale.
Desiderio di trasgressione, mancanza di tempo per cercare approcci de visu, timidezza, provocazione, voyeurismo, esibizionismo, curiosità, sono soltanto alcune delle motivazioni che spingono tantissime persone, almeno una volta nella loro vita, a cedere alle lusinghe del sexting.
Tuttavia, i rischi e le conseguenze sottesi a queste forme di svago estemporaneo, in sé innocuo, sono molteplici.
Tralasciando alcune particolari ipotesi di divulgazione di immagini erotiche raffiguranti terze persone, che il più delle volte coinvolgono, in quanto vittime, giovani donne o minori e rientrano nel diverso e parimenti deprecabile fenomeno del cosiddetto cyberbullismo, ci soffermeremo nel corso di questa disamina su di un fenomeno, speculare nelle conseguenze, ma dalle origini, le finalità e i protagonisti molto differenti.
Si è diffusa, infatti, da tempo, una sorta di truffa telematica che ha come vittime prevalentemente uomini, spesso stimati e insospettabili professionisti, e che, il più delle volte, nelle sue forme più gravi, assume addirittura le connotazioni giuridiche di una vera e propria estorsione, ex art. 629 c.p..
La dinamica, che si sviluppa spesso su un social network, è solitamente la seguente: un profilo dal nome femminile, recante l’ immagine di una donna molto avvenente, contatta sulla chat privata del social un utente di genere maschile, soprattutto se dal profilo di quest’ultimo si evince che lo stesso rivesta una buona posizione sociale o sia pubblicamente esposto.
La donna (o presunta tale) comincia dapprima a porre alcune domande interlocutorie per agevolare l’inizio di una conversazione e per acquisire la fiducia della vittima, poi inizia a stimolare sessualmente il malcapitato, chiedendogli di vedersi in video chat e successivamente di mostrarsi nudo o di esibire i genitali, promettendo di fare altrettanto.
Spesso, per convincere l’interlocutore più riottoso a cedere, è la donna stessa a iniziare a spogliarsi; attenzione, però, perché spesso si tratta soltanto di una registrazione e non di un reale collegamento diretto, come l’aguzzino vuole far credere.
L’uomo, magari un novizio di questo tipo di “incontri”, obnubilato dalla percezione trasgressiva della “conversazione” e dalle sempre più incalzanti stimolazioni di cui è fatto oggetto o semplicemente spinto dalla curiosità, cede e mostra i propri genitali davanti alla webcam.
A quel punto si concretizza la trappola di chi si cela dietro il profilo falso; dopo alcuni secondi, infatti, si interrompe la comunicazione e alla vittima viene recapitata sulla chat la registrazione della propria “performance” con l’espresso avvertimento che, ove mai non provvedesse entro le successive ventiquattro ore a pagare una ingente somma di denaro, le sue immagini “imbarazzanti” verrebbero diffuse in maniera virale sul web e recapitate persino ai familiari e ai colleghi della vittima di cui, stando al testo del messaggio, l’impostore avrebbe preso informazioni tramite il social.
Ebbene, a quel punto il malcapitato, in preda al panico, temendo le possibili conseguenze negative, personali e professionali, derivanti dall’ eventuale diffusione delle immagini, facilmente può cedere al ricatto.
L’impostore, infatti, prima di individuare la vittima, cerca sempre di recepire informazioni tramite i social per comprendere l’efficacia ricattatoria che potrebbe esercitare su di lei e la capacità economica della stessa.
Non di rado, infatti, le vittime sono uomini sposati, professionisti stimati e persone abbastanza conosciute nel loro territorio di appartenenza, con un interesse particolarmente forte, dunque, a salvaguardare la propria immagine dalla divulgazioni di video compromettenti.
Una volta che la vittima si dimostra disponibile a cedere, le vengono recapitate le coordinate di un conto corrente, in genere on line, dove effettuare il pagamento.
Il quesito, che tutti coloro che si vengono a trovare in una situazione del genere si pongono, è: cosa faccio? Pago? Denuncio?
Giova premettere che simili condotte ricattatorie integrano gravi fattispecie di reato.
In particolare, l’art. 629 c.p. punisce le condotte di “chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”, prevedendo pene molto severe, da un minimo di cinque a un massimo di dieci anni di reclusione.
Nella specie, è di tutta evidenza che i comportamenti sopra descritti siano sussumibili nella citata norma incriminatrice; la minaccia di divulgare immagini erotiche della vittima, ottenute peraltro con l’inganno, è finalizzata a coartare la sua volontà per ottenere dalla stessa un ingiusto profitto.
Anche laddove la vittima non dovesse cedere al ricatto, rifiutandosi di pagare, sarebbe in ogni caso integrata da parte dell’autore l’ipotesi del tentato delitto di estorsione, parimenti perseguibile e punito dal codice penale, ex artt. 56 e 629 c.p..
Purtroppo, non di rado ma non sempre, questi pericolosi adescamenti vengono perpetrati dall’estero, con la conseguenza, sul piano giudiziario, di vanificare qualunque sforzo investigativo dell’ Autorità Giudiziaria eventualmente adita e della Polizia Postale.
D’altra parte, il pagamento della somma richiesta, sul piano etico, non soltanto concretizza e soddisfa l’ingiustizia di un grave atto delittuoso subìto ma non garantisce nemmeno l’effettiva distruzione del video o delle fotografie compromettenti, ben potendo, viceversa stimolare l’autore a reiterare nuove e sempre più onerose richieste di denaro, avendo, a quel punto, percepito la particolare vulnerabilità della “preda”.
Dunque, in linea di massima, ove mai, sciaguratamente, ci si dovesse trovare vittime di comportamenti estorsivi conseguenti a sexting,
così come di qualunque altra tipologia di comportamenti delittuosi, è sempre bene chiedere consiglio al proprio Avvocato di fiducia o alle Forze dell’ Ordine specializzate, come la Polizia Postale, che potranno, sulla base delle rispettive professionalità ed esperienze e sulla scorta delle specificità sottese al caso concreto, variabili di volta in volta, indicarvi le possibilità offerte dalle leggi vigenti e dalle moderne tecnologie investigative per affrontare e superare nel migliore dei modi il problema.
Va da sé, in ogni caso, che, in tema di sexting, il consiglio principale è quello di prevenire ogni rischio, utilizzando le chat in maniera prudente ed evitando di divulgare proprie immagini a luci rosse a persone sconosciute